Mostra di sculture di Luigi Citarrella a cura di Andrea Guastella. Direzione artistica Roberto Bilotti Ruggi d’Aragona. Organizzata dall’Associazione Culturale Aurea Phoenix.
“L’archeologia non sarà più studiata nei marmi o nei bronzi, ma sopra i corpi stessi degli antichi, rapiti alla morte, dopo diciotto secoli d’oblio”. Così dichiarava ormai due secoli fa Giuseppe Fiorelli, l’archeologo che, a Pompei, anziché saccheggiare le tombe in cerca di preziosi, organizzò gli scavi in modo sistematico e soprattutto ebbe un’ottima pensata: prendere i calchi dalle vittime dell’eruzione del Vesuvio. La sua intuizione era semplice e geniale; consisteva nel colare gesso liquido nel cavo lasciato da uomini e donne intrappolati dalla cenere vulcanica. Quando il primo corpo venne alla luce, dovette dominare lo sgomento: quasi tutti gli abitanti di Pompei erano infatti morti rannicchiati, come per proteggersi, in posizione fetale, o recavano piuttosto arti contratti da violente contorsioni. Il calco evocava la realtà. La rendeva leggibile, presente, sebbene sviluppata in superficie: la materia, una volta perduta, non si può recuperare. È questo, a pensarci bene, l’assillo di chiunque realizzi una scultura. Un assillo risolto, nell’opera di Luigi Citarrella, attraverso un processo di astrazione: come forme scampate all’eruzione di un vulcano, le sue statue bianche, dalla superficie sovente scabra e respingente, rappresentano uomini, donne, “ragazzi di vita” spaesati come i luoghi da cui sono sottratti: i colori sono rimasti lì, nelle strade colme di odori, di rifiuti e di carcasse abbandonate; strade in cui la vita fermenta, ma a patto di non sconfinare, di non passare il recinto in cui il potere trionfa, limitando le aspirazioni degli ultimi e dei diseredati. Grazie al lavoro di Luigi, trasferiti nelle sale di un palazzo, la vecchia, il bimbo sulla vespa, la ragazza dalla testa di motore assediano, con il loro silenzio, il nostro campo visivo. Non hanno apparenza né bellezza per farsi desiderare: non sono forme pure, oggetti di contemplazione. Sono soltanto corpi vuoti, involucri strazianti: alla ricerca di un ideale. (Andrea Guastella)